Rampa di raccordo della tangenziale prova del guard-rail: si può agire contro il Comune?

L’art. 24 CdS recita espressamente “Le pertinenze stradali sono le parti della strada destinate in modo permanente al servizio o all’arredo funzionale di essa”; ed ancora “Le pertinenze stradali sono regolate dalle presenti norme e da quelle del regolamento e si distinguono in pertinenze di esercizio e pertinenze di servizio.” precisando poi che “Sono pertinenze di esercizio quelle che costituiscono parte integrante della strada o ineriscono permanentemente alla sede stradale”. Nella specie va ravvisato un rapporto di stretta funzionalità della rampa di raccordo e la tangenziale comunale, dovendosi quindi desumere la pertinenzialità di tale rampa, in quanto destinata a consentire l’accesso sulla medesima tangenziale, da ritenere pertanto al servizio di tale ultima strada, pacificamente di titolarità comunale. La rampa de qua risulta difatti essere tratto di raccordo necessario al fine di potersi immettere sulla tangenziale comunale, e quindi destinata al servizio della medesima; da tanto discende la connotazione in termine di pertinenza, ed alla stregua di quanto previsto dai commi I° e III° della norma del CdS sopra riportata. Pertanto, sussiste la legittimazione passiva del Comune convenuto per il risarcimento dei danni subiti dal conducente a causa dell’aver perso il controllo del proprio mezzo, ma anche della mancanza del guard-rail, che avrebbe dovuto impedire la caduta nella scarpata sottostante, dovendo la rampa ritenersi una pertinenza della tangenziale comunale, in quanto tratto di strada di raccordo che consente di raggiungere la predetta tangenziale, dalla ulteriore strada di provenienza. Deve in definitiva ritenersi la responsabilità del Comune, titolare del tratto stradale e gravato dei relativi obblighi di custodia/manutenzione, per non aver predisposto idonee misure di protezione per scongiurare l’accaduto, determinato con l’apporto concorrente ravvisabile nella condotta di guida in questione ex art. 2051 c.c.

Corte di Appello di Bari, sentenza del 21.4.2023, n. 666

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