Premesso che l’art. 2056 c.c., per la determinazione del risarcimento da illecito extracontrattuale, richiama, al comma primo, anche la disposizione dell’art. 1226 (valutazione equitativa del danno), aggiungendo, al comma secondo, che il lucro cessante è determinato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso – non autorizza la conclusione che il comma secondo del detto art. 2056 preveda una totale, va affermato che la valutazione equitativa del giudice – che integra non un giudizio di equità ma un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale – non riguarda la prova dell’esistenza del pregiudizio patrimoniale, il cui onere permane a carico della parte interessata, ma solo l’entità del pregiudizio stesso, in considerazione dell’impossibilità – o, quanto meno, della grande difficoltà – di dimostrare la misura del danno (rileva il Tribunale come l’attore non abbia, invero, assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante, in ordine all’effettiva verificazione dell’asserito pregiudizio patrimoniale, dovendosi, al riguardo, osservare che nulla di specifico è stato dedotto dall’attore, nei termini decadenziali di rito, in ordine al concreto contenuto delle riferite, peraltro in modo invero generico, “proposte lavorative” cui avrebbe dovuto rinunciare a causa delle lesioni riportate a causa del sinistro.
NDR: in argomento Cass. n. 1443/2003 (la liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ., richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale. Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece – anche semplicemente in considerazione dell'”id quod plerumque accidit” – connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità).
Tribunale di Milano, sentenza del 24.5.2022, n. 4530
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