Confermata la responsabilità per la morte della vittima investita per non avere l’imputata rallentato ulteriormente né arrestato tempestivamente la marcia in presenza di una serie di circostanze che, in quel dato momento e in quel dato luogo, avrebbero suggerito e consentito al conducente prudente di tenere un comportamento diverso, circostanze che si presentavano, ex ante, come immediatamente percepibili dalla stessa, quali, in particolare, l’andamento rettilineo del tratto stradale, la presenza di veicoli provenienti dall’opposta direzione di marcia fermi in corrispondenza delle strisce per consentire al pedone di effettuare l’attraversamento, la presenza di raggi solari abbaglianti. Inoltre, non è stata, dunque, attribuita all’imputata la violazione dei limiti di velocità quanto piuttosto la mancata adozione di una condotta di guida particolarmente diligente e prudente a fronte della piena consapevolezza della necessità di gestire in quel tratto di strada il rischio “abbagliamento” in coincidenza con un attraversamento pedonale, rischio ben noto, al punto da rendere esigibile dal conducente di rallentare la marcia fino ad arrestarla in tempo utile ad evitare l’investimento del pedone. Vi è da rammentare anche che, come sostenuto più volte dalla giurisprudenza di legittimità, il caso fortuito consiste in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e che, nemmeno a titolo di colpa, può farsi risalire all’attività psichica dell’agente: alla luce di detta definizione, l’abbagliamento da raggi solari non integra caso fortuito.
Cassazione penale, sezione quarta, sentenza del 2.5.2022, n. 16817
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