Il caso fortuito consiste in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e che, nemmeno a titolo di colpa, può farsi risalire all’attività psichica dell’agente. Il caso fortuito si verifica quando sussiste il nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento, ma fa difetto la colpa, in quanto l’agente non ha causato l’evento per sua negligenza o imprudenza; questo, quindi, non è, in alcun modo, riconducibile all’attività psichica del soggetto. Ne consegue che, qualora una pur minima colpa possa essere attribuita all’agente, in relazione all’evento dannoso realizzatosi, automaticamente viene meno l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 45 cod. pen. (nel caso di specie, è stata confermata la condanna della ricorrente, imputata del reato previsto dall’art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. per avere cagionato, alla guida del suo motociclo, la morte del pedone, non avendo adeguato la propria velocità di marcia alle condizioni ambientali, caratterizzate da luce solare frontale, non avendo arrestato tempestivamente il proprio veicolo in vista di un pedone sul margine destro della carreggiata, non avendo ridotto la velocità in prossimità di un attraversamento pedonale e non essendosi fermata, considerando, tra l’altro, quali elementi immediatamente percepibili ex ante dall’imputata l’andamento rettilineo del tratto stradale, la presenza di veicoli provenienti dall’opposta direzione di marcia fermi in corrispondenza delle strisce per consentire al pedone di effettuare l’attraversamento, nonchè la presenza di raggi solari abbaglianti).
Cassazione penale, sezione quarta, sentenza del 20.04.22, n. 16817
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