In tema di danno da insidia stradale, il solo fatto che sia dimostrata l’esistenza di una anomalia sulla sede stradale è di per sé sufficiente a far presumere sussistente la colpa dell’ente proprietario il quale potrà superare tale presunzione solo dimostrando che il danno è avvenuto per negligenza, distrazione od uso anomalo della cosa da parte della stessa vittima. A tal fine, il giudice di merito deve considerare che quanto più la situazione di pericolo era prevedibile e superabile con le normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi sul piano causale il comportamento di quest’ultimo. Inoltre, l’insidia stradale non è un concetto giuridico, ma un mero stato, di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto. Tale situazione, poi, pur assumendo grande importanza probatoria (in quanto può essere considerata dal giudice idonea a integrare una presunzione di sussistenza del nesso eziologico con il sinistro e della colpa del soggetto tenuto a vigilare sulla sicurezza del luogo), non esime il giudice dall’accertare in concreto la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall’art. 2043 c.c.
Pertanto, la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza l’anomalia vale ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità per difetto di manutenzione della strada pubblica. L’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 c.c., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso e allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito.
NDR: con riguardo alla prima massima si veda Cass. 13 luglio 2011, n. 15375 e, alla seconda, anche 22 ottobre 2013, n. 23919, 26 maggio 2014, n. 11664, 18 febbraio 2014, n. 3793 e 17 ottobre 2013, n. 23584.
Tribunale di Roma, sentenza del 25.09.2020, n. 12923
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