Va confermata la non necessità, ai fini del riconoscimento della risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, della prova della convivenza tra il parente defunto e il richiedente ristoro per il danno non patrimoniale subito, evidenziando che i congiunti dell’ucciso devono piuttosto provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, in virtù dell’attribuzione alla convivenza del valore di indice della sussistenza della sofferenza interiore patita dal congiunto, privo tuttavia del carattere di assoluta necessità o di esclusività. In applicazione dei suesposti principi non pare dubitabile il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale ai fratelli non conviventi del de cuius per il vincolo parentale a suo tempo esistente, tale da fare presumere la lesione dell’aspetto interiore del danno, quale intimo dolore subito per la perdita del prossimo congiunto (il Giudice di primo grado, in ordine alla pretesa risarcitoria azionata dai fratelli della vittima del sinistro per la lesione del diritto costituzionalmente tutelato alla prosecuzione del rapporto parentale ha desunto, ex art. 2727 c.c., la sussistenza in capo agli attori di un pregiudizio non patrimoniale in termini di sofferenza per la prematura perdita del fratello, considerando la natura del legame di fratellanza tra i predetti e la vittima e tenendo conto della giovanissima età della vittima e l’età ravvicinata tra i fratelli ed il deceduto. Al riguardo il primo Giudice, con ciò uniformandosi alla giurisprudenza di legittimità, non ha valorizzato l’assenza di prova dell’effettivo rapporto tra fratelli e la residenza degli stessi in Paesi diversi, ed ha correttamente ritenuto di valutarle in relazione alla determinazione del quantum della pretesa risarcitoria).
Va ribadito il principio secondo cui, in caso di perdita definitiva del rapporto parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare da parte di chi agisce in giudizio. Tali elementi, seppur non indispensabili per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, devono comunque essere valutati, insieme ad ogni altra circostanza del caso concreto, ai fini della quantificazione dell’entità del risarcimento (sotto tale profilo va evidenziata l’assenza di elementi connotanti maggiormente il legame affettivo parentale stante l’assenza della convivenza tra i fratelli, che rappresenta un dato probatorio utile a dimostrare l’ampiezza e la profondità dell’asserita esistenza di costanti rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il parente defunto e la lontananza geografica tra i luoghi di residenza degli appellanti e la vittima).
NDR: sulla prima massima si veda Cass. 7743/2020 e 14422/2021; sulla seconda 14655/2017.
Corte di Appello di Milano, sentenza del 20.3.2023, n. 945
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