Al fine di ottenere il risarcimento del danno per la morte di un prossimo congiunto, all’attore è sufficiente provare, oltre alla circostanza del decesso e alla sua imputabilità al danneggiante, la semplice esistenza del legame di parentela, operando a suo favore una presunzione in merito alla sussistenza di un legame affettivo con il defunto e alla sofferenza patita a causa del venir meno di tale legame. Naturalmente, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite. Al fine di superare la presunzione così delineata, tuttavia, non sarà sufficiente al convenuto dimostrare la mancanza del rapporto di convivenza tra il defunto e il prossimo congiunto. Si deve ritenere, pertanto, che tra le circostanze dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite non rilevi la mancanza del rapporto di convivenza, non rientrando essa tra i connotati minimi ed indispensabili per il riconoscimento del danno. La mancanza di convivenza, invece, rileva certamente ai fini della quantificazione del risarcimento: nel sistema “a forbice”, essa giustifica una liquidazione tendente ai valori minimi, ma mai inferiore ad essi, trattandosi di circostanza di fatto non “eccezionale”, bensì “ordinaria”, cioè comune a tutti i soggetti danneggiati che si trovino in quella condizione familiare; nel diverso sistema “a punti” la mancanza di convivenza comporterà l’attribuzione di un punteggio inferiore rispetto a quello attribuito ai danneggiati che convivevano con il defunto.
NDR: in argomento Cass. 25541/2022, 11212/2019, 31950/2018, 12146/2016, 25541/2022, 3767/2018, 22397/2022, 18284/2021, 26440/2022 e 10579/2021.
Corte di appello di Milano, sentenza del 15.2.2023, n. 526
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