Art. 2054, c. 2, c.c.: norme e principi regolatori

Giova rammentare che, nel caso dello scontro tra veicoli, si traggono dall’art. 2054, secondo comma, cod. civ., secondo la consolidata interpretazione di questa Corte, le seguenti norme e principi regolatori:

– il criterio d’imputazione della responsabilità previsto dalla disposizione ha funzione meramente sussidiaria, operando solo nel caso in cui, iuxta alligata et probata, non sia possibile accertare in concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso;

– il superamento della presunzione del concorso di colpa di pari grado dei conducenti richiede, oltre all’accertamento in concreto della colpa dell’uno, la prova liberatoria, a carico dell’altro conducente, di aver adottato una regolare condotta di guida e di aver posto in essere tutte le necessarie manovre di emergenza; anche se dalla valutazione delle prove resti individuato il comportamento colposo di uno solo dei due conducenti, per attribuirgli la causa determinante ed esclusiva del sinistro deve parimenti accertarsi che l’altro conducente abbia osservato le norme sulla circolazione e quelle di comune prudenza, perché è suo onere dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, altrimenti dovendo presumersi anche il suo colpevole concorso;

– la prova che uno dei conducenti si è uniformato alle norme sulla circolazione dei veicoli ed a quelle di comune prudenza può essere acquisita anche indirettamente, tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso con il comportamento dell’altro conducente ; fermo restando, tuttavia, che l’infrazione, pur grave, come l’invasione dell’altra corsia commessa da uno dei conducenti, non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell’altro conducente al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell’evento dannoso;

– l’accertata esistenza di alcuni elementi concreti di colpa a carico di uno ovvero di entrambi i conducenti dei veicoli scontratisi non impedisce il ricorso al criterio sussidiario della responsabilità presunta di pari grado, quando l’impossibilità di accertamento delle circostanze di maggior rilievo influenti sulla dinamica del sinistro (colpa e nesso di causalità) non consenta di stabilire la misura dell’imputabilità di quest’ultimo rispetto a uno o entrambi i conducenti.

NDR: in argomento Cass. n. 6483 del 2013, n. 7061 del 2020, n. 13540 del 2023, n. 9353 del 2019, n. 18479 del 2015, n. 1317 del 2006, n. 10031 del 2006, n. 18631 del 2015, n. 15822 del 2015, n. 21056 del 2004, n. 15434 del 2004, n. 124 del 2016, n. 19115 del 2020, n. 13672 del 2019, n. 9550 del 2009, n. 5226 del 2006, n. 19115 del 2020, n. 477 del 2003, n. 343 del 1996, n. 15152 del 2023, n. 4909 del 1996 e n. 2038 del 1994.

Cassazione civile, sezione terza, ordinanza del 25.7.2024, n. 20714

…omissis…

fatti di causa

1. Con sentenza n. 1673 del 2013 il Tribunale di Parma, in parziale accoglimento delle domande proposte da SS e dalla moglie DD condannò la Fondiaria Sai, quale impresa territorialmente competente per il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, al pagamento in favore del primo della somma di Euro 269.889,18 a titolo di risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro occorso in data 16 giugno 2006 in località omissis, allorquando il SS, alla guida della propria moto, veniva travolto da una vettura modello Golf condotta da soggetto rimasto ignoto, cui attribuì l’esclusiva responsabilità.

2. In accoglimento dell’appello principale interposto dalla compagnia e in parziale accoglimento di quello incidentale proposto dai coniugi, la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 1088/2021, pubblicata il 7 maggio 2021, ha, da un lato, riconosciuto il concorso di colpa del SS, rilevando che le prove raccolte non consentivano di superare la presunzione di pari responsabilità posta dal secondo comma dell’art. 2054 cod. civ., dall’altro, riconosciuto la sussistenza di danni risarcibili iure proprio in capo alla moglie e aumentato l’importo risarcitorio liquidato al SS per la ritenuta spettante personalizzazione del danno biologico e per il necessario calcolo degli interessi compensativi secondo i criteri dettati da Cass. Sez. U. n. 1712 del 1995.

Rideterminata, dunque, la somma complessivamente spettante ai predetti coniugi nell’importo di Euro 259.480,50, ha condannato gli stessi alla restituzione della somma versata in eccedenza dalla Fondiaria-Sai Spa in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo, compensando per intero tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

3. Questi, in sintesi, gli argomenti addotti in motivazione, con riferimento al riparto di responsabilità, unico tema ancora dibattuto in questa sede:

– sussistono sufficienti e coerenti elementi per affermare che l’evento sia stato provocato da un urto con un’automobile condotta da soggetto rimasto non identificato: le prove documentali e le dichiarazioni rese dai testi oculari non presentano contraddizioni rispetto alla ricostruzione prospettata dal danneggiato;

– nondimeno, anche se dalla valutazione delle prove venga chiaramente individuata la condotta colposa di uno dei conducenti, per attribuirgli la causa determinante ed esclusiva del sinistro deve accertarsi che l’altro conducente abbia diligentemente osservato le norme sulla circolazione e quelle di comune prudenza, perché è suo onere dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, dovendo altrimenti presumersi anche il suo colpevole concorso;

– nel caso di specie emergono talune circostanze oggettive che consentono in via presuntiva di accertare la mancata adozione di manovre di emergenza esigibili nel caso concreto, fra cui: a) la traiettoria rettilinea e non deviata del motociclista a seguito di un urto frontale con un’autovettura proveniente dal senso opposto; b) l’assenza di segni di frenata o scarrocciamento del veicolo sull’asfalto; c) il fatto che il veicolo che precedeva il motociclista – di dimensioni maggiori – era riuscito ad evitare l’urto senza uscire di carreggiata e senza adottare particolari manovre di emergenza se non suonare il clacson;

– combinata quest’ultima circostanza con la ricostruzione prospettata dalla parte appellata è possibile desumere in via presuntiva il mancato rispetto da parte del danneggiato della distanza di sicurezza fra la sua moto e l’autovettura che lo precedeva;

– non vi è prova, inoltre, di quale fosse la velocità mantenuta dal SS al momento del sinistro;

– non appare, pertanto, esente da profili di colpa la condotta posta in essere da SS, né risulta tantomeno fornita la prova liberatoria relativa all’accertamento sull’adozione di ogni possibile misura per evitare il danno;

– l’esiguo compendio probatorio (peraltro, privo di indagini specialistiche di carattere cinematico) non consente, tuttavia, di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso; pertanto, risulta necessario applicare il criterio sussidiario della presunzione di responsabilità paritaria di cui all’art. 2054, secondo comma, cod. civ.

4. Avverso tale sentenza SS e DD propongono ricorso per cassazione sulla base di sette motivi cui resiste Unipolsai Assicurazioni Spa (già Fondiaria – Sai) depositando controricorso.

5. È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo (pagg. 14-23) i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 348-bis e ter e 352 cod. proc. civ., “error in procedendo per avere la Corte di appello accolto l’impugnazione dell’impresa designata, nonostante questa non avesse affatto intercettato, con il proprio atto di appello, la vera ragione sulla quale si era invece fondato il pieno accoglimento delle domande delle vittime in primo grado, col risultato di essersi dato ingiusto ingresso ad un giudizio di appello, risoltosi poi in una sorta di novum judicium, invece di vederlo definito in rito con le pronunzie di inammissibilità di cui agli artt. 348-bis e ter c.p.c.; error in procedendo anche perché la stessa sentenza non si è, a propria volta, nemmeno accorta di quale fosse la vera ratio decidendi, posta dal Tribunale a fondamento della sua decisione di primo grado”, avendo proceduto alla valutazione della sussistenza o meno della prova liberatoria ex art. 2054 cod. civ. “senza accorgersi che una tal prova liberatoria non competesse pia loro nella qualità di parti interamente vittoriose e appellate, ma al contrario alla controparte, a cui spettava il compito di contrastare la vera ratio decidendi sottesa alla pronunzia di prime cure che così era passata in giudicato”.

2. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

2.1. Giova anzitutto rilevare, ove mai fosse anche questo il senso da attribuirsi alla doglianza nella sua prima parte, che gli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. (applicabili ratione temporis) disciplinano presupposti, forma e termini del provvedimento che dichiara l’inammissibilità dell’appello per mancanza di “ragionevole probabilità” di accoglimento, nonché l’eventuale rimedio impugnatorio, ma nulla dicono per l’ipotesi che il giudice non ravvisi i presupposti per tale pronuncia.

Non è previsto alcun obbligo di pronunciarsi espressamente in tal senso, nemmeno su sollecitazione della parte; né la parte appellata può dolersi della mancata applicazione del filtro, non sussistendo alcun diritto processuale a vederlo applicato e dovendo le eventuali e diverse doglianze essere rivolte unicamente contro la sentenza che, superato il filtro, decida sul gravame.

Peraltro, la tesi che si sostiene nella illustrazione del motivo è che l’appello avrebbe dovuto dirsi inammissibile per aspecificità dei motivi (art. 342 c.p.c.), con il che, dunque, restava comunque esclusa l’applicabilità dell’art. 348-bis cod. proc. civ. (v. Cass. n. 9343 dell’8 aprile 2024, Rv. 670767; Cass. Sez. U n. 1914 del 2/02/2016, Rv. 638370).

2.2. Secondo la tesi censoria, infatti:

a) il Tribunale aveva escluso qualsiasi efficacia causale concorrente di un eventuale profilo di colpa del danneggiato avendo riconosciuto assorbente efficacia eziologica alla condotta del conducente della Golf, per aver esso imprevedibilmente invaso ad alta velocità in un tratto curvilineo la corsia di marcia opposta sulla quale viaggiava il SS;

b) con l’appello la compagnia aveva chiesto accertarsi l’esistenza di profili di colpa concorrente del danneggiato;

c) aveva, dunque, con ciò proposto argomenti di critica eccentrici e inconferenti, dal momento che avrebbe invece dovuto censurare (e non l’aveva fatto) il rilievo rappresentato dalla riconosciuta efficacia causale esclusiva e assorbente (ex art. 41 cpv. c.p.) della condotta del conducente della Golf;

d) la Corte d’Appello avrebbe quindi dovuto ritenere inammissibile, ex art. 342 cod. proc. civ., il motivo sul punto dell’appellante principale e (per l’effetto) considerare formato il giudicato sull’affermazione della esclusiva responsabilità del conducente del veicolo non identificato.

2.3. Precisato dunque che ciche si intende denunciare con il motivo è l’inosservanza (non degli artt. 348-bis e 348-ter, né tanto meno dell’art. 352 cod. proc. civ. pure evocato nella intestazione, ma) dell’art. 342 cod. proc. civ. per avere la Corte omesso di rilevare l’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi, deve rilevarsi che una tale censura è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., e comunque infondata.

2.4. I ricorrenti omettono invero di riportare, almeno nelle parti rilevanti, il contenuto dell’atto di appello di Fondiaria-Sai, in tal modo non ponendo questa Corte nelle condizioni di poter adeguatamente valutare la censura sulla sola base del ricorso e senza fare riferimento ad atti ad esso esterni; omissione tanto più apprezzabile ove si consideri che quanto si dice nella sentenza qui impugnata, circa il contenuto del motivo d’appello (secondo cui con esso si era, in subordine, contestata l’esclusione di ogni responsabilità in capo al danneggiato “in assenza di prova sull’impossibilità di adottare misure di emergenza” e si era chiesta pertanto l’applicazione della presunzione di cui all’art. 2054 cod. civ.) evidenzia che, al contrario, quella ratio decidendi era stata invece centrata e specificamente criticata.

Giova al riguardo rammentare che, in ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale, il Giudice di legittimità è bensì investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché perla censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito e, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).

2.5. Ove peraltro potesse ritenersi consentito, prescindendo da tale rilievo, esaminare nel merito la censura, passando all’esame diretto degli atti di causa, la stessa andrebbe detta manifestamente infondata.

2.5.1. Come riferiscono anche i ricorrenti, l’appello della Fondiaria era diretto, in via principale, a negare in radice la stessa storicità del sinistro, almeno nei termini così come esposti, e solo in subordine a censurare il ritenuto superamento della presunzione di pari concorso di colpa.

È dunque del tutto evidente che, in tal modo, l’appello investiva la ricostruzione del fatto in tutta la sua ampiezza, ponendolo quale tema devoluto, senza limite o preclusione alcuna, alla nuova valutazione di merito del giudice dell’appello.

2.5.2. In ogni caso, la lettura dell’atto d’appello rende del tutto evidente che l’appellante principale aveva certamente focalizzato, quale oggetto delle proprie considerazioni critiche, la ratio decidendi che oggi i ricorrenti sostengono non essere stata invece censurata.

Si legge, infatti, alle pagg. 8 – 9 dell’atto di appello della Fondiaria Sai Spa:

“Il giudice di prime cure se la è cavata definendo imprevedibile la condotta della pretesa auto antagonista così decidendo che il SS non avrebbe potuto fare alcunché per evitare il sinistro: questa valutazione è del tutto smentita dai fatti stessi presi per buoni dal giudice.

La pretesa invasione di corsia era imprevedibile anche per l’autovettura che precedeva SS, ma questa è riuscita ad evitare l’urto senza scontro e senza uscire dalla carreggiata (nessuna manovra di emergenza viene segnalata dai testi come compiuta dall’autovettura che precedeva il SS): evidentemente la situazione non era connotata da tale imprevedibilità da escludere la possibilità di porre in essere alcuna manovra di emergenza.

Va aggiunto che se l’autovettura che precedeva il SS è riuscita a cavarsela ciò significa che quella proveniente in senso contrario poteva avere posto in essere solo un’invasione di corsia decisamente marginale eventualmente solo limitata al centro strada e qui entra in gioco anche il contegno del SS rispetto ai suoi doveri nella guida. Infatti, va da sé che se egli avesse condotto la sua moto rispettando la distanza di sicurezza dall’autovettura che lo precedeva e avesse tenuto la propria destra, avrebbe avuto lo spazio per percepire, o meglio, vedere la pretesa auto invadente la corsia e soprattutto per evitare completamente la stessa senza alcuna conseguenza sinistrosa la stessa anche senza porre in essere una manovra di emergenza il tutto esattamente come era riuscita a fare l’autovettura che lo precedeva… “.

3. Con il secondo motivo (pagg. 23 – 33) i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., “doppio errore di diritto nella sussunzione, all’interno della fattispecie legale dell’art. 2054 c.c., dello scontro di causa tra il pirata a bordo di un’auto non identificata e il motociclista SS, per avere, ad un tanto, ricostruito, in modo normativamente incompleto e con un successivo indebito automatismo nell’applicazione della pari corresponsabilità, il contenuto della prova liberatoria in caso di scontro fra veicoli, senza cioè che fosse stato doverosamente considerato come il suo oggetto potesse essere integrato non solo in via diretta, come ha pensato erroneamente la Corte di prossimità (previa, cioè, la dimostrazione di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, avendo rispettato tutte le norme specifiche e generiche del caso), ma anche in via indiretta, come correttamente aveva deciso il Tribunale (previa cioè la prova che il sinistro fosse stato eziologicamente ricollegabile alla sola condotta di controparte), così trascurando l’indicazione nomofilattica di Cass. 12884/2021 che pareva scritta per la fattispecie di causa e avendo poi dato applicazione, alla presunzione di colpa paritetica, in maniera erroneamente automatica, dinanzi invece alla certezza del ruolo causale della condotta dell’investitore contromano e all’incertezza di un possibile ruolo della vittima, per le quali avrebbe dovuto considerare la doverosità di una positiva diseguale graduazione che desse conto delle diverse gravità accertate e/o presunte, nonché della possibilità che quella avversaria avesse caratteristiche da sole sufficienti a causare l’evento” (così testualmente nella lunga intestazione).

4. Il motivo è inammissibile.

4.1. Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., primo comma, num. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., primo comma, num. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. e pluribus Cass. nn. 16132 del 2005, 26048 del 2005, 20145 del 2005, 1108 del 2006, 10043 del 2006, 20100 del 2006, 21245 del 2006, 14752 del 2007, 3010 del 2012 e 16038 del 2013).

In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.

Nella specie i ricorrenti, nel pur diffuso argomentare, non riescono a individuare le affermazioni contenute nella sentenza impugnata che dovrebbero ritenersi rivelatrici di una erronea ricognizione delle norme o dei principi di diritto che regolano la fattispecie ovvero di un errore di sussunzione commesso dalla Corte territoriale per avere omesso di ricondurre alla fattispecie astratta descritta da quelle norme la fattispecie concreta così come accertata o, all’opposto, per avere ricondotto tale fattispecie concreta a norme o principi che regolano diverse fattispecie.

4.2. Al riguardo giova anzitutto brevemente rammentare che, nel caso dello scontro tra veicoli, si traggono dall’art. 2054, secondo comma, cod. civ., secondo la consolidata interpretazione di questa Corte, le seguenti norme e principi regolatori:

– il criterio d’imputazione della responsabilità previsto dalla disposizione ha funzione meramente sussidiaria (Cass. n. 6483 del 2013; n. 7061 del 2020; n. 13540 del 2023), operando solo nel caso in cui, iuxta alligata et probata, non sia possibile accertare in concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso (Cass. n. 9353 del 2019; n. 18479 del 2015; n. 1317 del 2006);

– il superamento della presunzione del concorso di colpa di pari grado dei conducenti richiede, oltre all’accertamento in concreto della colpa dell’uno, la prova liberatoria, a carico dell’altro conducente, di aver adottato una regolare condotta di guida (Cass. n. 10031 del 2006; n. 18631 del 2015) e di aver posto in essere tutte le necessarie manovre di emergenza (n. 15822 del 2015; n. 21056 del 2004; n. 15434 del 2004); anche se dalla valutazione delle prove resti individuato il comportamento colposo di uno solo dei due conducenti, per attribuirgli la causa determinante ed esclusiva del sinistro deve parimenti accertarsi che l’altro conducente abbia osservato le norme sulla circolazione e quelle di comune prudenza, perché è suo onere dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, altrimenti dovendo presumersi anche il suo colpevole concorso (v. e pluribus Cass. 08/01/2016, n. 124);

– la prova che uno dei conducenti si è uniformato alle norme sulla circolazione dei veicoli ed a quelle di comune prudenza può essere acquisita anche indirettamente, tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso con il comportamento dell’altro conducente (Cass. 15/09/2020, n. 19115; 21/05/2019, n. 13672; 22/04/2009, n. 9550; 10/03/2006, n. 5226); fermo restando, tuttavia, che l’infrazione, pur grave, come l’invasione dell’altra corsia commessa da uno dei conducenti, non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell’altro conducente al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell’evento dannoso (Cass. n. 19115 del 2020, cit.; 15/01/2003, n. 477; 17/01/1996, n. 343);

– l’accertata esistenza di alcuni elementi concreti di colpa a carico di uno ovvero di entrambi i conducenti dei veicoli scontratisi non impedisce il ricorso al criterio sussidiario della responsabilità presunta di pari grado, quando l’impossibilità di accertamento delle circostanze di maggior rilievo influenti sulla dinamica del sinistro (colpa e nesso di causalità) non consenta di stabilire la misura dell’imputabilità di quest’ultimo rispetto a uno o entrambi i conducenti (Cass. n. 15152 del 2023; n. 4909 del 1996; n. 2038 del 1994).

4.3. Ebbene, nella specie, non si ricava dalla motivazione della sentenza d’appello, né è individuata dai ricorrenti, alcuna affermazione – esplicitamente o implicitamente indicativa della regola di giudizio adottata – che si ponga in contrasto con taluno dei surricordati principi.

Tanto si potrebbe affermare ove, in ipotesi, la Corte avesse affermato che (a) la regola sussidiaria del pari concorso di responsabilità vale sempre e comunque anche in presenza dell’accertamento della esclusiva responsabilità di uno solo dei conducenti coinvolti, o che (b) pur in presenza dell’accertato collegamento eziologico esclusivo o assorbente della condotta colposa di uno dei due conducenti, occorre pur sempre che l’altro conducente coinvolti dimostri di avere osservato le norme sulla circolazione e quelle di comune prudenza, indipendentemente dal fatto che l’eventuale loro inosservanza non abbia in concreto avuto alcuna incidenza causale, in mancanza dovendosi lo stesso ritenere parimenti corresponsabile, o ancora che (c) in mancanza di prova liberatoria non è possibile graduare diversamente il concorso di colpa dell’un conducente rispetto all’altro.

Nulla di tutto questo risulta però affermato dalla Corte territoriale che ben diversamente, nel pieno rispetto dei detti principi, ha ritenuto, alla stregua di una valutazione in fatto congruamente motivata e insindacabile in questa sede, che la condotta pur gravemente colposa del conducente del veicolo rimasto non identificato non valesse ad escludere la probabile rilevanza eziologica di profili di colpa ascrivibili anche al danneggiato, rispetto ai quali emergevano elementi indiziari e comunque non era stata offerta, come necessario, la contraria prova liberatoria. Ciò in particolare ha fatto evidenziando, in buona sostanza, che l’avere l’autovettura che precedeva il centauro evitato senza particolari manovre l’urto con la Golf dimostrava che altrettanto avrebbe, a fortiori, potuto fare il motociclista che la seguiva ove avesse osservato una condotta di guida osservante dell’obbligo di mantenere la propria destra e la distanza di sicurezza e comunque maggiormente prudente; se non altro dimostrava la necessità di dar prova di una tale condotta osservante e prudente e la rilevanza, agli effetti della norma, della mancanza di siffatta prova. La graduazione paritaria delle colpe è stata poi affermata in sentenza, non per la supposta impossibilità di operare diversamente, ma per la “esiguità del compendio probatorio”, tale da non consentire di “accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso”.

4.4. Per converso, appare evidente che le argomentazioni critiche svolte con il motivo in esame si indirizzino in realtà non già verso lo schema logico-giuridico sotteso all’esposto ragionamento per evidenziarne l’incompatibilità rispetto ai suindicati principi, quanto piuttosto al risultato cui esso ha condotto, evidentemente non condiviso dai ricorrenti ma che costituisce pur sempre frutto di tipica valutazione di merito insindacabile in questa sede.

È appena il caso di rammentare, al riguardo, che, come ricordano anche i ricorrenti, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 cod. civ. (v. ex multis Cass. n. 12884 del 13/05/2021; n. 14358 del 05/06/2018, Rv. 649340 e n. 01028 del 25/01/2012 Rv. 621316-01).

5. Con il terzo motivo (pagg. 34 – 36) i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., “motivazione assente e meramente assertiva sull’inferenza che ha portato la Corte di appello a ritenere, contrariamente a quanto statuito sul punto dalla sentenza di primo grado e in assenza di una specifica censura della parte appellante, che non ne aveva affatto messo in dubbio l’inesistenza, una colpa del SS “per la mancata adozione di manovre di emergenza”, ritenute addirittura “esigibili nel caso concreto”.

Premettono che: a) il Tribunale aveva escluso il concorso di colpa del danneggiato per essere stato dimostrato che “la dinamica del sinistro è tale (per imprevedibilità) da rendere impossibile in pratica ogni forma di manovra di emergenza”; b) nell’atto di appello la questione non era stata più contestata, ma anzi era stata data per presupposta, avendo sostenuto la controparte che l’impossibilità per il SS, di “porre in essere alcuna manovra nemmeno in extremis per evitare il sinistro”, dipendesse dalla violazione, da parte sua, della distanza di sicurezza dalla macchina che lo precedeva, “senza margine di sicurezza”. Ciò premesso lamentano che, in tale contesto, “inspiegabilmente” la sentenza di appello giunge ad affermare esattamente il contrario di quanto oramai risultava in actis, senza indicare quali fossero i fatti indizianti e soprattutto quali fossero le manovre che il procedimento inferenziale le aveva permesso di individuare.

6. Il motivo è inammissibile.

In disparte la ripresa (con la premessa sopra riassunta sub lett. b)) di un argomento censorio già dedotto con il primo motivo e della cui infondatezza già s’è detto (e che viene anzi confermata proprio da quanto affermato nel motivo qui in esame, là dove si evidenzia, contraddittoriamente, che la Fondiaria-Sai, lungi dal non aver contestato l’assunta imprevedibilità della condotta colposa del conducente del veicolo antagonista, aveva dedotto che l’osservanza da parte del danneggiato delle norme della circolazione e di comune prudenza avrebbe consentito di prevedere e prevenire l’altrui condotta colposa), vale osservare che il vizio di motivazione apparente è dedotto in termini del tutto difformi dal relativo paradigma censorio.

Occorre al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/04/2014, Rv. 629830 e succ. conf.).

Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti; piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa (sostanzialmente anche in tal caso mirandosi, inammissibilmente, ad una rilettura del materiale istruttorio).

Devesi invero ribadire che, intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione.

Non può invece un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).

In questo secondo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) idonea a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di Cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti.

Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio.

7. Con il quarto e il quinto motivo, oggetto di unitaria illustrazione alle pagg. 36 – 38 del ricorso, i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.:

– “motivazione assente e meramente assertiva sull’inferenza che ha portato la Corte di appello a ritenere, altresì, che da un raffronto congiunto fra la ricostruzione prospettata dal SS e la circostanza indicata nella lettera (c), emergesse il mancato rispetto da parte del danneggiato della distanza di sicurezza fra la sua moto e l’autovettura che lo precedeva (artt. 132 comma 2 n.4 c.p.c.)”;

– “error juris per avere ritenuto, implicitamente, sussumibile nell’art. 149 cod. strada, la fattispecie di causa, con relativo addebito a titolo di colpa, nella quale il ciclomotorista SS, che seguiva a una qualche distanza (non accertata) un’auto che lo precedeva, ne avrebbe violato il precetto circolatorio che imponeva, per l’appunto, una distanza di sicurezza fra veicoli e fosse pertanto censurabile a tale titolo proprio in relazione allo scontro (non col veicolo che lo precedeva, bensì) con il veicolo che lo avrebbe frontalmente colpito proveniente dall’opposta direzione”.

7.1. Nella susseguente illustrazione lamentano (in relazione al quarto motivo) che non sia dato comprendere, per le insufficienti spiegazioni offerte in sentenza, come la Corte sia potuta risalire, dalle circostanze accertate, ad una colpa del SS per il mancato rispetto della distanza di sicurezza.

Sostengono che, contraddittoriamente, la Corte ricava tale convincimento, per inferenza, da due premesse in realtà inconciliabili: da un lato, la ricostruzione del sinistro dedotta dal danneggiato (secondo cui l’autovettura che lo precedeva era stata costretta ad una sterzatura repentina); dall’altro, quella esposta sub lett. c) secondo cui, al contrario, la detta autovettura era riuscita ad evitare l’urto senza adottare particolari manovre di emergenza se non suonare il clacson.

7.2. Rilevano inoltre (in relazione al quinto motivo) che “all’interno del medesimo ragionamento, resterebbe ancora da spiegare quale sarebbe stato il precetto che imponeva una qualche distanza di sicurezza del SS, se poi nella fattispecie era certo che questo non avesse tamponato, per effetto della violazione dell’art. 149 cod. strada, il veicolo frontistante ma fosse stato colpito da altro veicolo che incrociava provenendo dall’opposta direzione” e che comunque occorreva spiegare il nesso di “causalità psicologica” tra tale violazione e lo scontro.

8. Entrambi i motivi sono inammissibili.

Va anzitutto ribadito che non è rintracciabile nella sentenza impugnata alcuna delle gravi anomalie che sole potrebbero condurre a ravvisare l’error in procedendo denunciato per sostanziale inosservanza dell’obbligo di motivare il provvedimento imposto al giudice dall’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ.. La motivazione è perfettamente comprensibile, come del resto dimostra proprio la censura in esame che, avendola perfettamente compresa, la critica, in sostanza, in quanto non persuasiva ovvero fondata su un non corretto ragionamento probatorio di tipo presuntivo (che è, per prospettazione censoria radicalmente diversa).

Pur letto il quarto motivo in tale prospettiva va comunque rilevato, in via assorbente, che sia tale motivo che quello che lo segue, al di là di ogni possibile altro rilievo, si appuntano solo su uno dei passaggi argomentativi svolti in sentenza a fondamento dell’espresso convincimento circa l’impossibilità di ritenere acquisita la dimostrazione, sia pure indiretta, della esclusiva responsabilità del conducente dell’autovettura.

Anche prescindendo dalle considerazioni svolte sul presumibile mancato rispetto della distanza di sicurezza, quel convincimento rimane infatti comunque giustificato dalle altre considerazioni (traiettoria rettilinea, assenza di segni di frenata e scarrocciamento, l’essere il veicolo che lo precedeva riuscito a evitare l’impatto senza particolari manovre di emergenza, mancata prova del rispetto dei limiti di velocità anche in relazione al contesto) e tra esse, soprattutto, in via assorbente, dal rilievo che quelle stesse circostanze giustificavano quanto meno il dubbio che una condotta osservante delle norme della circolazione e di comune prudenza sarebbe riuscita ad evitare lo scontro, dubbio che, da un lato, escludeva si potesse ricavare dalla sola prova positiva della colpa del conducente dell’autovettura investitrice la dimostrazione indiretta dell’esclusiva efficacia causale di quella condotta, dall’altro, conseguentemente, faceva emergere la rilevanza del mancato assolvimento dell’onere in capo al danneggiato di dare la prova positiva dell’assenza di ogni profilo di colpa causalmente efficiente.

9. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., “error in procedendo per avere la sentenza premesso di volere procedere comunque “a una attenta valutazione delle condotte poste in essere dai conducenti coinvolti nel sinistro sulla base dell’esiguo materiale probatorio offerto” (pag.7), ma poi avere solo scrutinato quella della vittima, dicendosi così, subito dopo, impossibilitata ad accertare in modo concreto “in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso”; e per la stessa ragione, si deduce anche insufficiente motivazione per essersi trascurato completamente un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dal volontario allontanamento del conducente non identificato, che aveva così cagionato volontariamente la modifica dello stato dei luoghi e favorito la dispersione delle tracce utili per l’accertamento delle responsabilità (art. 189 comma 2 cod. strada), negando le proprie generalità nonché le altre informazioni utili ai fini risarcitori (art.189 comma 4 cod. strada)”.

10. Il motivo è manifestamente infondato.

La circostanza dell’allontanamento repentino del conducente dell’autovettura investitrice, rimasto non identificato, lungi dall’essere circostanza non considerata costituisce oggetto di specifico accertamento, di centrale importanza anzi nella decisione costituendo la ragione fattuale che ha consentito alla Corte, rigettando il motivo di gravame sul punto svolto dalla Fondiaria, di confermarne la condanna al risarcimento del danno quale impresa designata dal F.G.V.S.

Al fondo della censura vi è in realtà la tesi che alla condotta del conducente che si allontani repentinamente dal luogo del sinistro occorrerebbe attribuire valore di prova presuntiva della responsabilità esclusiva nella causazione del sinistro, tesi che però non ha alcun fondamento nell’ordinamento. Non putale fondamento in particolare ricavarsi dall’art. 189 cod. strada che sanziona bensì penalmente tale condotta, ma non autorizza certo le implicazioni postulate dai ricorrenti sul piano della prova del quomodo del sinistro e delle correlate responsabilità risarcitorie.

Converrà piuttosto rammentare che, secondo fermo indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, “in tema di intervento del Fondo di garanzia per le vittime della strada (ex art. 283, comma 1, lett. a, del D.Lgs. n. 209 del 2005) al fine di garantire il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli soggetti ad obbligo assicurativo nei casi di sinistro cagionato da veicolo non identificato, spetta comunque al danneggiato, per regola generale, l’onere di provare il fatto generatore del danno (che il sinistro è stato cagionato dal veicolo inidentificato) e, cioè, dimostrare le modalità del sinistro stesso e la sua attribuibilità alla condotta dolosa o colposa, esclusiva o concorrente, del conducente dell’altro mezzo e, inoltre, che tale veicolo è rimasto sconosciuto” (Cass. n. 10540 del 19/04/2023, Rv. 667410-01; Cass. n. 10762 del 19/09/1992, Rv. 478760).

11. Con il settimo motivo i ricorrenti deducono, infine, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., “error in procedendo della Corte di appello da mancato impiego dello “zelo solerte” di cui a Cass. n. 24469/2014 e, quindi, per non avere ricostruito la cinematica dello scontro con ogni sforzo consentito dall’ordinamento, il che è inaccettabile in materia di assicurazione della r.c.a., e per di più in un caso che aveva visto la macrolesione del 43% dell’attore SS, in quanto incoerente col principio di massima tutela della vittima imposto dall’ordinamento comunitario, che significava per l’appunto zelo solerte del giudicante nella conduzione dell’istruttoria, e logica stringente nella motivazione delle proprie decisioni, avendo invece la Corte di appello riformato la sentenza di primo grado, che aveva dato ragione interamente sulla dinamica alla vittima, senza nemmeno ricorrere all’effettuazione di una CTU cinematica che, in tal fattispecie, doveva costituire una sorta di minimo sindacale per provare a rispettare il principio eurounitario per il quale vulneratus ante omnia reficiendus”.

12. La censura è inammissibile.

Secondo il principio richiamato, che si assume violato dalla Corte d’Appello, “in tema di risarcimento del danno da circolazione dei veicoli a motore, l’applicazione del principio solidaristico di rilievo sovranazionale “vulneratus ante omnia reficiendus”, impone in sede sostanziale l’interpretazione delle norme di legge che disciplinano l’assicurazione r.c.a. in modo coerente con la finalità di tutela della vittima, e comporta in sede processuale che il giudice deve compiere ogni sforzo, nei limiti del principio dispositivo e dei poteri attribuitigli dall’ordinamento, per l’accertamento della verità e la liquidazione del danno patito dalla vittima” (Cass. n. 24469 del 18/11/2014, Rv. 633400, che ha annullato la sentenza impugnata, censurandone la contraddittorietà, perché, da un lato, aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata dagli eredi della vittima, per mancanza di prova che il loro congiunto non fosse alla guida di un veicolo coinvolto in un sinistro stradale, mentre, dall’altro, aveva negato l’ammissione delle prove orali offerte dalle parti, tese a dimostrare chi fosse il conducente del mezzo).

Dalla stessa massima e ancor più dalla motivazione della sentenza si ricava che in quella occasione cassò la sentenza impugnata per la ritenuta illogicità e contraddittorietà della motivazione (il ricorso, ratione temporis, era ancora soggetta al previgente testo dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.), illogicità a sua volta desunta anche da una “sbrigatività istruttoria e decisionale non coerente né con la gravità dei danni reclamati dalle parti, né con la materia sulla quale la Corte d’Appello di Milano era chiamata a decidere”.

In tale contesto argomentativo si attribuì in quella occasione rilievo anche al superiore principio di rilievo sovranazionale vulneratus ante omnia reficiendus, evidenziandosi che “sul piano processuale l’attuazione di quel principio comporta il dovere per il giudice di compiere ogni sforzo, ovviamente nei limiti del principio dispositivo e dei poteri attribuitigli dall’ordinamento, per l’accertamento della verità e la liquidazione del danno patito dalla vittima”.

In particolare, il rilievo processuale di tale principio, secondo il ricordato arresto, aveva modo di emergere: a) sul piano motivazionale in quanto indice estrinseco di illogicità della motivazione stessa; b) sul piano istruttorio perché la sua attuazione “comporta il dovere per il giudice di compiere ogni sforzo, ovviamente nei limiti del principio dispositivo e dei poteri attribuitigli dall’ordinamento, per l’accertamento della verità e la liquidazione del danno patito dalla vittima”.

Orbene, non può non rilevarsi che, sotto entrambi i profili, lo spazio nel quale tale (indiretto) rilievo processuale può trovare sanzione nel giudizio di legittimità risulta oggi alquanto ridotto dal nuovo testo dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., ai sensi del quale un controllo della motivazione è consentito, come noto – oltre che per inosservanza del “minimo costituzionale” (il quale si traduce in realtà in error in procedendo per violazione dell’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ.) – solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Anche la mancata ammissione di mezzi istruttori e, segnatamente, di una c.t.u. è sindacabile in cassazione solo in tale ultima prospettiva censoria, in relazione al fatto (decisivo) che solo attraverso di essa sarebbe stato possibile acquisire e che, pertanto, resta onere del ricorrente individuare specificamente, come possibile e necessario oggetto di acquisizione nel giudizio.

Nella specie, la violazione del ricordato principio è dedotta in ricorso solo in relazione al mancato espletamento di consulenza tecnica cinematica, la cui utilità si prospetta però nello stesso ricorso in termini del tutto generici e astratti, alla stregua di mera indagine esplorativa, limite tanto più apprezzabile nella fattispecie concreta a fronte del dato evidenziato in sentenza dell’assenza di segni di frenata o scarrocciamento sull’asfalto. Né peraltro si dice se una tale consulenza fosse stata o meno sollecitata nel giudizio di merito.

13. La memoria che, come detto, è stata depositata dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 380-bis.1, comma primo, cod. proc. civ., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.

14. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere in definitiva rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

15. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso da essa proposto, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

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