Sinistro stradale cagionato da cane randagio, oneri probatori

Non è controverso che chi agisce in giudizio addebitando alla controparte la commissione di un fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. deve provare non solo il fatto materiale (condotta, nesso di causalità ed evento dannoso), ma deve anche provare la sussistenza, in capo al soggetto nei cui confronti agisce, del necessario elemento psicologico del dolo o della colpa. Spetta, quindi, al danneggiato dimostrare che il soggetto citato a giudizio non solo ha commesso il fatto materiale ma ha tenuto una condotta connotata quantomeno da un elemento di colpa. Considerate dette premesse, qualora il giudice non affermi che è onere dell’attore dimostrare che, proprio quel cane randagio, che ha causato l’incidente stradale, era già stato segnalato all’Asl, ritenendo invece che la Asl non può essere obbligata al risarcimento dei danni per il dato meramente oggettivo che un cane randagio sia entrato nel territorio di competenza della ASL ed abbia cagionato un danno all’automobilista che lo ha investito, va confermato che sarebbe sufficiente per l’attore allegare e provare elementi (come, ad esempio, la ricorrenza di una anomala o notoria presenza di randagi nella zona del sinistro) sulla base dei quali possa risalirsi, anche in via presuntiva, alla conoscenza o agevole conoscibilità del fenomeno da parte degli enti preposti, così da poterne desumere una colpevole omissione.

Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 9.2.2023, n. 4052

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