Il danno da perdita del rapporto parentale come consistente nella perdita di un prossimo congiunto da cui consegue normalmente una condizione di vuoto esistenziale da parte dei familiari, determinato dal fatto di non poter più godere della sua presenza e di non poter più sperimentare tutte quelle relazioni fatte di affettività, condivisione, solidarietà che caratterizzano un sistema di vita che viene irreversibilmente stravolto. Ciò posto, va confermato che in tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico- relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso”). Anche il danno da perdita del rapporto parentale, pertanto, è un danno-conseguenza, nel senso che oltre alla prova del fatto illecito dell’uccisione del congiunto, deve essere provato il danno che da tale evento sia derivato in capo a chi ne domanda ristoro. Tale prova, comunque, può essere fornita dal presunto danneggiato con qualsiasi mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici ai sensi dell’art. 2727 c.c.
NDR: in argomento Cass. n. 21230 del 2016, n. 28989 del 2019 e n. 15022 del 2005.
Tribunale di Milano, sentenza del 15.12.2021, n. 10403
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