In caso di appalto non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c., laddove non vi sia il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, quest’ultimo d’altro canto rispondendo anche dei danni cagionati a terzi dal preposto o dall’ausiliario della cui opera, ancorchè non alle proprie dipendenze, si avvalga nell’espletamento della propria attività di adempimento dell’obbligazione, assumendo il rischio connaturato alla relativa utilizzazione nell’attuazione della propria obbligazione (principio cuius commoda eius et incommoda, ovvero dell’appropriazione o “avvalimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione), essendo pertanto responsabile di tutte le ingerenze dannose, dolose o colpose, che a costui, sulla base di un nesso di occasionalità necessaria, siano state rese possibili in virtù della posizione conferitagli nell’adempimento dell’obbligazione medesima rispetto al danneggiato, e che integrano il “rischio specifico” a tale stregua assunto. In tal caso, non venendo i poteri e doveri del custode necessariamente trasferiti in capo all’appaltatore, ricorre di norma l’ipotesi della concustodia, sicchè il proprietario o il concessionario sono responsabili del danno derivante a terzi dalla cosa in custodia anche laddove trattisi di insidia creata dall’impresa appaltatrice, sempre che quest’ultima non risulti posta in condizione di esclusivo custode. E’ fatto in tale ipotesi salvo, nei rapporti interni, il diritto di rivalsa.
Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 7.5.2021, n. 12166
Per accedere ai contenuti, acquista l’accesso alla banca dati per 1 anno