Va confermato che il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, dacché il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; inoltre il danno biologico cd. terminale è configurabile, e trasmissibile “iure successionis”, ove la persona ferita non muoia immediatamente, sopravvivendo per almeno ventiquattro ore, tale essendo la durata minima ai fini dell’ apprezzabilità dell’invalidità temporanea, essendo, invece, irrilevante che sia rimasta cosciente; mentre il danno morale terminale, o anche detto danno catastrofale o catastrofico, consiste, invece, nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dover morire, cioè nella “paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali” (nel caso in esame, il decesso è subentrato otto ore dopo l’incidente e non vi è prova che in quel lasso di tempo fosse in stato di coscienza tale da percepire la morte immediata; viene, pertanto, respinta la domanda risarcitoria iure hereditatis.).
NDR: in argomento Cass. 18056/2019, 21837/2019, 12315/2019 e 5448/2020.
Tribunale di Milano, sentenza del 15.1.2021, n. 255
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