Con riferimento al risarcimento del danno da perdita (o da lesione) del rapporto parentale quale conseguenza della morte (o di una non lieve lesione) di un congiunto, la parte interessata potrà fornire la prova del danno anche con ricorso a meccanismi presuntivi – con riferimento a quanto ragionevolmente riferibili alla realtà dei rapporti di convivenza e alla gravità delle ricadute della condotta, e spetterà al giudice del merito il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, l’eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale sopra descritti – riguardo ai quali, al fine di apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno, può essere utilizzato il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figli, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino), senza escludere anche altri rapporti e legami parentali di più lontana configurazione formale (rispetto a quelli in precedenza elencati) o financo di assente configurazione formale (vedi rapporto affettivo con i figli del coniuge o del convivente) per i quali tuttavia venga rigorosamente dimostrata la consistente ed apprezzabile dimensione affettiva.
NDR: in argomento si veda Cass. 28989/2019 la quale, con riferimento al pregiudizio da provare, precisa che esso si compone di due essenziali elementi, da risarcire unitariamente, costituiti dalla sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana del soggetto che l’ha subita (mutamento peggiorativo delle abitudini di vita, con fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita).
Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 12.6.2020, n. 11279
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